Visit Gravina
Il nome “Gravina” proviene dalle gravine, spaccature della crosta terrestre simili a canyon, depressione del terreno prodotta da erosione.
Lo stemma è bipartito in due campi: a sinistra azzurro sovrapposto da spighe dorate; a destra color aurora sovrapposto da tralcio di vite con pigne d’uve. L’azzurro e l’oro sono stati ritenuti colori divini; rappresentano il comando e la dignità di chi li porta, oppure la massima investitura derivata, per privilegio, direttamente dalla sovranità. Dopo la prima Crociata (1099), essi furono i colori dell’impero che successivamente furono trasmessi alla nobiltà. È bene precisare che detti colori erano usati dai popoli del Nord Europa, per congetturare che essi furono importati e adottati dai Normanni, primi signori della città. Al di là delle congetture e significati, i colori dello stemma sono scaturiti dal colore del grano e dell’uva che crescono e maturano sotto il cielo e con il sole, da cui traggono l’oro e l’azzurro, simboli anche della ricchezza del metallo e della pietra preziosa, zaffiro. Nel corso dei secoli, i colori domi¬nanti sono stati assunti nei due campi che compongono lo stemma con a destra giallo-oro metallico, sovrapposto da verde vite e pigne d’uva nera; a sinistra color azzurro, smaltato, sovrapposto da tre spighe dorate. Tutto lo scudo è abbracciato da un ramo d’alloro e di quercia legati in basso da liste bifide svolazzanti, dagli stessi colori del campo, con il motto “GRANA DAT ET VINA” (traduzione “offre grano e vino”), attribuito alla città da Federico II del Sacro Romano Impero. Questo ha fatto ritenere, e molti credono, che il nome della città venga da grano e vi¬no, invece è la formazione carsica che le dà il suo nome dopo quelli classici.
Storia
Proprio a causa della sua posizione strategica da un punto di vista geografico, Gravina può vantare una storia non del tutto indifferente; il suo territorio risulta, infatti, essere abitato già, con assoluta certezza, derivata dai numerosi ritrovamenti archeologici, dal Paleolitico antico, mentre i resti più antichi e più consistenti risalgono al Neolitico, intorno al 5950 a.C.
A partire dall’Età del Ferro nasce un esteso agglomerato sulla collina di Botromagno, situata in prossimità dell’attuale abitato.
Senza dubbio gli antichi gruppi, scampati dalle vicende storiche e naturali dalla collina di Botromagno, si rifugiarono nella “Gravina” e vi popolarono le grotte già abitate in epoche precedenti.
Gravina, posta nel felice corridoio che collega il Tirreno con l’Adriatico e al centro di importanti centri urbani, ricevette l’immigrazione e l’influsso dei Greci e Romani.
E’ difficile stabilire se fu tutta Peuceta o Daunia-Peuceta o ancora Iapigia, perché su una linea di confine non ben definibile. Inizialmente, tutta la Puglia si vuole abitata da un unico gruppo etnico, i Iapigi, e successivamente da tre distinti (Tapigi, Dauni, Peuceti). Tuttavia la cultura greca si evidenzia nel VI secolo a.C. con i Peuceti. Nel IV secolo, i Sanniti dominavano la città.
Tra l’ VIII e il IV sec. a.C. il paese conosce un periodo di particolare floridezza culturale ed economica per effetto dell’intensificarsi delle relazioni con il mondo greco. Verso la fine di questo periodo la città, denominata Sidion, si dota di poderose mura e conia moneta propria. I contrasti tra Sanniti-Lucani, quasi alleati, e gli Oschi consentirono la ingerenza di Roma che approfittò per assoggettarne la Peucezia e l’intero Sud. Nel 305 a.C., Gravina cambiò padroni e da greco-ellenica divenne romana.
Conquistata dai Romani nel 305 a.C., diventa, con il nome di Silvium, importante centro agricolo e commerciale lungo la via Appia. Fu in questo periodo che i Silvini si convertirono al Cristianesimo e fusero culto pagano e cristiano, che ha lasciato segni sino ai nostri giorni.
Alla dominazione romana subentrò quella bizantina con le note vicende di guerre, saccheggi e distruzioni, che non la risparmiarono. La debolezza del dominio bizantino, minato dai Musulmani a Sud e da Barbari a Nord; Vandali e Longobardi, decretò la morte della città classica, che dovette riprendere la vita nella “Gravina” donde era uscita con i Greci. Infatti gli abitanti si rifugiano nelle grotte del torrente Gravina, avviando quel mirabile e complesso ciclo storico che va sotto il nome di Civiltà Rupestre.
I pericoli esterni non furono bloccati dal governo centrale né dall’interno della città, presa com’era dalle guerre di religione.
La città era divisa infatti in due fazioni: una facente capo alla Chiesa bizantina e l’altra favorevole alla Chiesa latina, con Basiliani da una parte e Benedettini dall’altra.
Questa divisione era oggetto di continue lotte e disordini, che favorirono ora gli uni ora gli altri. Tra questi dissidi non mancò l’occasione ai Saraceni, ormai padroni della Sicilia e di alcuni centri pugliesi, per impadronirsi della città.
Dal 476 al 1050 circa riuscì a rinascere tra la vallata della Gravina e i due rioni Piaggio e Fondovico, che costituirono il nuovo centro trovato dai Normanni, seguendo un modulo urbanistico libero e spontaneo ma condizionato o diretto da chiese e da situazioni ortografiche. I due quartieri medioevali rispondono, con le loro abitazioni, già differenziate con case e grotte e case “palatiate”, abitate le une dai più umili e le altre dai benestanti, alla tipologia dell’epoca, con all’interno strade direttrici e chiese fulcro di attrazione e concentrazione e all’esterno una modesta cinta muraria, che doveva servire a frenare eventuali incursioni di malintenzionati o, in caso di ostilità, di nemici. Infatti la difesa era affidata alle mura, ma soprattutto alla composizione urbana ed ai cittadini che dovevano tutti insieme, badare alla propria incolumità e alla salvaguardia delle poche cose che possedevano. Ricchi e feudatari, invece, si premunivano nei loro palazzi-castelli fortificati con tutte le possibilità di vie di scampo fatte di sotterranei o rifugi. Le strade, ad eccezione delle poche direttrici, erano strette e generalmente chiuse da un lato, perché dovevano prestarsi a facile sbarramento e quindi difesa in caso di attacchi.
Lo sviluppo urbano dopo i due predetti rioni, si ha già con il XIII secolo quando si identificano altre chiese e costruzioni all’esterno della prima cinta muraria.
Sotto il dominio dei Normanni, al fine di costituire un patrimonio necessario per una diocesi e per un vescovo, seguì la nomina del primo vescovo, Guido Manilia, e quindi la costruzione di una cattedrale a ridosso del castello normanno, tra i due rioni Piaggio e Fondovico.
Con la sede vescovile, Gravina potè divenire un feudo importante ed una “civitas” con tutti i diritti e prerogative che le spettavano da parte dell’autorità temporale e spirituale.
Federico II di Svevia eleva la città alla dignità di sede della Curia Generale per le Puglie e la Basilicata. Intorno al 1006 fu contea. Al ceppo principale degli Altavilla subentrarono gli Aleramici, che la qualificarono marchesato. Gilberto d’Aigle la mise a capo del Giustizierato di Terra di Bari. Sfortunatamente però egli cadde in disgrazia e fu sostituito da un De Say, che la tenne fino al 1250. I De Say fecero poco per la città, anzi la sfruttarono solo come feudatari e la fecero decadere come centro di potere, che venne spostato altrove. In seguito il feudo fu gestito direttamente dal figlio di Federico II, Manfredi.
Dal 1267 al 1380 fu feudo degli Angioini ora d’Angiò, ora d’Ungheria. In questo stesso periodo Gravina in Puglia divenne città demaniale e feudale. Con Giovanna I sopraggiunsero i guai con guerre civili ed interne, da quando fece assassinare il marito Andrea d’Ungheria. Infatti Gravina si divise in due fazioni: l’angioina e l’ungherese, come in tutto il regno. Prevalse ora l’una ora l’altra ed il tutto a discapito della cittadinanza soggetta a razzie e rappresaglie. Gli Angioini tennero il feudo sino al 1380 quando subentrò la famiglia Orsini del ramo di Taranto e poi quelli di Roma, con Francesco, che nel 1420, lo ricevette da Giovanna II divenendo duca ed elevando il feudo a ducato capoluogo.
A questo duca successero altri, che certamente non fecero onore né al titolo, né al sovrano che li aveva investiti, né al popolo che li manteneva. La storia degli Orsini infatti è caratterizzata da abusi, sopraffazioni e anche beneficenze. Il loro dominio condizionò anche la vita della città demaniale su cui la loro ingerenza era diretta con sindaci di loro scelta, discendenza e spesso di famiglia. Non si può dimenticare il duca Ferdinando e sua consorte Giovanna Frangipane della Tolfa, che si prodigarono per la città e i cittadini favorendo economia, cultura, arte e costruzioni, e onorarono la città con il figlio fra Vincenzo Maria Orsini, che divenne papa Benedetto XIII (1724).
Il feudalesimo Orsini, molto lungo (1380-1816), fu soggetto alle vicende del viceregno e regno di Napoli. Non sempre consentì condizioni sociali ed economiche felici, come dimostrano le relazioni dei visitatori reali ed apostolici.
In questo lungo arco di tempo la città subì le prepotenze feudali, dell’alto clero e della oligarchia locale. Nel XIII secolo giunsero i monaci degli ordini cavallereschi: Templari e Cavalieri Gerosolomitani, che furono possessori di case e territori di grandi estensione.
Gli Austriaci e i Borboni oppressero ulteriormente la vita cittadina e le libertà, tanto che in città si contano molti rivoluzionari e patrioti dal 1799 sino alla Unità d’Italia.
L’adozione del cannone influì, oltre che sulla tipologia della fortificazione, anche sulla stessa forma urbana di tipo circolare, suggerita dalla possibilità di racchiudere il massimo di superficie interna con il minimo sviluppo di cinta muraria. Questa forma permetteva di evitare angoli morti presso le mura dove i nemici avrebbero potuto nascondersi. L’invenzione del bastione permise ai difensori di custodire ciascun tratto della cinta muraria da posizioni laterali e di colpire il nemico di fianco, prima che tentasse di scalare le mura, ed inoltre di combattere al coperto. La preminenza assunta dalla cinta fortificata si risolse in un mutamento dei sistemi di progettazione: la città fu disegnata dall’esterno, dapprima il perimetro, coincidente con la linea delle fortificazioni, successivamente la parte interna. In base a motivi difensivi fu giustificata l’adozione di uno schema radiale ritenuto il più adatto alla difesa della città.
La città barocca invece si sviluppa e si organizza non più per una visione monofocale e statica, ma per una polifocale. La città ottocentesca a seguito del P.R.G. del 1865 assume la pianta a scacchiera tipica di quest’epoca non solo per un miglior sfruttamento dei lotti ma anche perché i Gravinesi erano stanchi di muoversi tra le anguste strade del centro abitato. I nuovi palazzi al di fuori delle mura assumono forme regolari libere dal tracciato stradale e anzi è quest’ultimo che si adegua ad essi ed alle pievi di campagna. Al contrario, all’interno del centro storico, la strada definiva la forma del lotto che generalmente era molto irregolare. La città quindi si sviluppa per punti e per assi che accentuano il processo di linearizzazione dello spazio configurato dai volumi architettonici.
Protagonista delle vicende storiche di fine ‘800 ed inizio ‘900, contribuì all’Unità d’Italia con patrioti e martiri delle guerre d’indipendenza e della I Guerra Mondiale, e anch’essa dopo l’Unità poté godere della libertà e indipendenza dalla schiavitù borbonica sottoponendosi a quella dei latifondisti, borghesi ed industriali del Nord. Come tra Nord e Sud, anche nella città non mancarono le disuguaglianze sociali perché esisteva una ricca borghesia costituita da ricchi terrieri e una gran parte di poveri braccianti, per lo più disoccupati e sfruttati nel modo più vergognoso.